UOMO MORDE CANE è satira allo stato liquido dalle sembianze di fiume in piena. UOMO MORDE CANE si è aggiudicato il titolo di “blogger più cattivo d’Italia” nel 2010. UOMO MORDE CANE ha preso la parola per esaltare un talento dialettico nostra: Marco Verratti.
Dopo l’eliminazione dell’Italia dai Mondiali, sul web si è diffusa l’intervista a Verratti nella quale il Nostro utilizzava il termine “moccicare”, dividendo il Paese in due: quelli tutto sommato divertiti e quelli che rimproveravano la scarsa cultura del calciatore-medio. Moltissimi si sono scagliati contro il nostro Marco, reo di non usare un vocabolario all’altezza e contribuendo così a diffondere lo stereotipo del calciatore-ignorante.
Altri hanno colto in questo un senso goliardico, campanilista e tutto sommato spiritoso. Una enfatizzazione che una corretta forma italiana non avrebbe reso con questa forza.
L’obiezione più spesso mossa è stata: “Se avesse fatto questa battuta in toscano, o romanesco, non avrebbe detto nulla nessuno”. Il che è assolutamente vero: l’abruzzese è un dialetto poco diffuso, magari “buffo”, generalmente “simpatico”. Il mio parere sulla questione va ancora più a monte: non è “giusto” o “sbagliato”, che un calciatore usi termini dialettali e che non sia un mostro da Accademia della Crusca.
Nessuno gli chiede questo. Nessuno si aspetta questo. E chi se lo aspetta sbaglia, è in mala fede oppure vuole solo sfogare invidie latenti. Il punto è che le interviste ai calciatori sono, semplicemente, sbagliate. È come dare un microfono a un bambolotto: dirà quelle stesse cose, già sentite, risentite, strasentite, fatte di palla rotonda, massimo impegno, rispetto per tutti e paura di nessuno, idee del Mister, tempo necessario per acquisire gli schemi, quattroquattrodue, il campionato è lungo, abbiamo tutti i mezzi per risalire, ci sono squadre meglio attrezzate ma noi possiamo dire la nostra, hanno elementi in grado di decidere la partita in qualsiasi momento, lo dobbiamo ai nostri tifosi, ringraziamo la curva, siamo stati bravi ad aggredire gli spazi, non siamo stati bravi ad aggredire gli spazi, per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande, non ci vuole un pennello grande ma un grande pennello, scusate è già passato il due barrato?…
Ma cosa intervistate? Ma a chi interessa sentire queste cose? Dategli un pallone, non un microfono. È come mettere davanti a Ray Charles un leggìo, a Pistorius un paio di stivali, a Paolo Brosio uno specchio: sono oggetti sbagliati. La “moccicata” di Verratti ha solo costituito un lampo di novità in un mare magnum di banalità sempre uguali.
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