La vita da pescatore è dura, ma Ladis viene dal Burundi a Pescara per scegliere la via del mare.
Era un pomeriggio strano, con un sole timido e dall’aria frizzante, come quelle solite giornate invernali pronte a vestirsi di grigio. Mi trovavo vicino il porto di Pescara, quello autentico nella parte Nord della città, dove si radica tutta la tradizione marinara, poco distante dall’antico Borgo Marino, sorto proprio come insediamento di pescatori, e quella volta, come ogni volta che mi trovo a passare di là, ho subito il fascino della memoria che quelle barche e quei pescatori portano con sé. Quel pomeriggio, però, mi sono saltati agli occhi due ragazzi sulla banchina intenti a sistemare le tele dopo una lunga giornata di pesca.

Come ci sono finiti due ragazzi africani a fare i pescatori? E da lì si è accesa tutta la mia curiosità di sapere come si diventa pescatori, dopo tutto non è un lavoro così usuale. Prima o poi avrei scambiato due chiacchiere con loro, mi promisi.
Quasi per caso ho conosciuto Ladis, laureato in economia e commercio in Burundi, il suo Paese di provenienza, che da tre anni fa il pescatore a Pescara. La prima cosa che gli ho chiesto è stata: “Come hai deciso di fare il pescatore?” E lui, con i suoi occhi sinceri e dal sorriso smagliante, mi ha detto: “Ero in Italia da quasi un anno ormai, ho fatto sempre lavoretti saltuari, ma volevo imparare un mestiere. Passavo sempre al porto e vedevo tanta gente lavorare, così ho iniziato a chiedere”.
Alcuni amici gli avevano consigliato di provare, perché sapevano che già altri loro connazionali lavoravano lì e si trovavano bene. “Sono andato al porto senza pretese” ha raccontato Ladis “ho espresso solo la mia volontà di imparare il mestiere, io non sapevo assolutamente niente del mare, loro mi hanno accolto e da quel giorno ho iniziato fare il pescatore. Mi hanno insegnato piano piano quello che c’era da sapere e dopo tre mesi ho iniziato ad essere più o meno autonomo”.
Ladis però è cosciente che c’è ancora molto da sapere, soprattutto quando mi parla del suo amico Senegalese che fa questo mestiere da ormai quattordici anni, “lui sa tutto dei vari tipi di pesca, lui esce in mare, mentre io lavoro a terra e divido il pescato per poi portarlo al mercato”.

Nel tempo è sicuramente cambiato molto: “Una volta era tutto diverso, noi eravamo l’anima di questa città, ora al di là della banchina nessuno sa niente del mare” ha esclamato Dionisio, un saggio pescatore in pensione cresciuto sulla barca, uno di quelli che sente ancora vivo il richiamo del mare, come fosse una parte di sé che non riesce a lasciar andare.
Dionisio lo conoscono tutti al porto, lo chiamano Nisio, e mi racconta delle sue avventure con la luce dell’amore negli occhi: “Prima stavamo per settimane in mare, arrivavamo fino alle sponde della Jugoslavia e sai quante volte siamo stati fermati oltre confine? Per non parlare delle tempeste…”
Erano tempi duri, ma loro sapevano bene come muoversi, mentre ora? “Adesso sti giovanotti escono solo tre giorni a settimana e che ne possono sapere della pesca, se fare il capitano di una barca significa spingere un bottone?”
Questo è vero, me lo ha confermato anche Ladis, che mi ha raccontato che i pescatori in pensione spesso sono al porto e oramai riparano solo le tele, un lavoro che solo loro sanno fare.

E che fine hanno fatto i figli dei pescatori? “E’ un lavoro duro, sulla barca d’inverno fa freddo. Bisogna avere un forte spirito di adattamento” ha detto Ladis. Su quella banchina ho incontrato anche chi ha deciso di gestire uno stabilimento balneare per abbandonare l’ostico mestiere paterno “Ci ho provato” mi ha detto “ma non lo sapevo fare, è dura, è davvero dura e alla fine andavo a pescare con mio padre giusto per far vedere che non me ne stavo a casa senza far nulla”.

Dionisio, invece, è ancora fiero di essere pescatore e mi mostra innamorato una foto della sua grande barca bianca, il Labrador, che custodisce gelosamente, “è stato il primo grande peschereccio approdato a Pescara! Era la mia barca”.

Nisio ha ragione, chi si avvicina al mare per fare il pescatore non lo abbandona più, così come ha fatto Ladis, anche perché, come dice un antico detto “La terra e il mare hanno sempre dato, bisogna solo saperci lavorare”, è con queste parole che mi ha salutata e io gli ho promesso di tornare al porto a fargli visita.